Lavoro

Investire efficacemente nella politica del turismo, nell'arte e nella cultura, anche considerato che il nostro patrimonio paesaggistico, storico ed architettonico è tra i pochi beni non delocalizzabili


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Premesse

Lotta alla Camorra, lotta alla disoccupazione , libertà d'impresa, tutela dei diritti dei lavoratori sia in ambito pubblico sia in ambito privato, ugualianza di diritti nel mondo del lavoro senza distinzione di razza, sesso e religione


Linee guida

La flessibilità "sostenibile"

Una certa dose di flessibilità dà ossigeno al mercato, ma la stessa deve essere “controllata” e “guidata”; deve trattarsi di una flessibilità “giovanile”, iniziale, non può rappresentare una prospettiva di vita lavorativa. I nuovi strumenti di flessibilità introdotti nel nostro ordinamento appaiono, invece, più diretti a governare il presente e risultano privi di progettazione su un orizzonte di medio-lungo periodo.

In altre parole, la leva della flessibilità dovrebbe servire ad offrire ai giovani lavoratori un percorso, graduale e per tappe si, ma funzionale alla stabilità. La flessibilità deve, cioè, trasformarsi in uno strumento che serva a tracciare un sentiero per un ingresso duraturo nel mondo del lavoro a tempo indeterminato o quantomeno più stabile. Solo così si giustifica la flessibilità che intesa, invece, in modo fine a se stesso e come mera opzione per l’impresa, è il frutto di una visione politica miope e di una prospettiva senza respiro che conduce verso una progressiva e preoccupante precarizzazione del mercato del lavoro che, peraltro, mette anche a rischio valori fondamentali per la società e per l’individuo, quali quello della famiglia.

Occorre introdurre dei correttivi all’attuale configurazione del nostro mercato del lavoro, che abbiano come obiettivo un graduale inserimento per i giovani (o reinserimento per i meno giovani), verso un lavoro di tipo stabile, accompagnati da adeguate forme di protezione dell’impiego. Si potrebbe prevedere un periodo di inserimento (di due o tre anni) protetto da tutela obbligatoria contro il rischio di licenziamento oppure una qualche altra forma di indennità di licenziamento; si dovrebbe limitare la possibilità di ricorso al contratto a tempo determinato, sia in termini di durata dello stesso, si potrebbe anche pensare ad una forma di contribuzione maggiorata per le imprese, in modo da scoraggiare il ricorso al lavoro a tempo determinato (e contemporaneamente si incrementerebbe il montante pensionistico del lavoratore).

Ammortizzatori sociali e forme di tutela dei lavoratori flessibili vanno introdotte anche per le nuove tipologie contrattuali, come forma transitoria di protezione nella fase intermedia di approdo verso un’area lavorativa dotata di maggiore stabilità e di strumenti di tutela tipici del contratto permanente. Tuttavia, la soluzione del problema non può essere l’estensione degli ammortizzatori sociali, la cui rifondazione appare, peraltro, comunque necessaria.

Né può essere quella della riduzione (peraltro opportuna) del costo del lavoro di mezzo punto o di un punto, perché Cina ed Europa dell’Est producono a costi comunque notevolmente inferiori.

La delocalizzazione

In uno scenario caratterizzato dalla trasformazione del tessuto economico, dal declino dei grandi complessi industriali, dalla delocalizzazione verso i paesi emergenti, dall’affermazione di nuovi competitori sul mercato nazionale, dalla diffusione delle occupazioni precarie ed atipiche, da una modesta crescita dell’occupazione, appare necessario puntare su altre strade: qualità del prodotto, novità, originalità. L’industria manifatturiera non deve chiudere, ma deve ristrutturarsi sulla base di tali criteri. Occorre puntare sulla ricerca, sulla formazione e sull’innovazione. L’Italia e Napoli in particolare, devono riprendersi il ruolo di centralità nel mediterraneo, sfruttando l’occasione offerta da un sistema di portualità quasi naturale, adeguatamente accompagnato dalla riformulazione delle relative infrastrutture in termini di trasporto e di logistica. Si deve, poi, investire efficacemente nella politica del turismo, anche considerato che il nostro patrimonio paesaggistico, storico ed architettonico è tra i pochi beni non delocalizzabili.

La delocalizzazione rappresenta l'organizzazione della produzione dislocata in regioni o stati diversi. Il mercato globale, oltre a consentire l'acquisto di merci in luoghi diversi da quelli usuali, ragionando sul mercato delle offerte a livello planetario e non più nazionale o regionale, ha consentito di pensare che alcune funzioni produttive possano essere totalmente delocalizzate in luoghi ritenuti più adatti.

Il territorio che perde produzioni subisce una contrazione dei lavoratori impiegati in quel settore e perde competitività strutturale, giacché se prima delocalizzare significava solo dare all'esterno funzioni semplici, attualmente si delocalizzano funzioni importanti (ingegneria, software, progettazione) che vanno sicuramente ad incidere negativamente sul sistema economico e sociale. A lungo andare anche il tessuto produttivo si modifica, dato che una singola produzione necessita anche di uno sfondo di subforniture che, ovviamente, perdono di ragione economiche ad esistere, cioè il cosiddetto "indotto" tende a scomparire.

Proposte

  • Impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato locale e favorirne la produzione
  • Introdurre la responsabilità degli istituti finanziari sui prodotti proposti con una compartecipazione alle eventuali perdite
  • Introduzione di un tetto per gli stipendi del management delle aziende quotate in Borsa e delle aziende con partecipazione rilevante o maggioritaria dello Stato
  • Risanamento del Bilancio Comunale con forti interventi sui costi, con il taglio degli sprechi e con l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari
  • Vietare la nomina di persone condannate in via definitiva come amministratori in aziende partecipate
  • Sostenere le società no profit
  • Disincentivi alle aziende che generano un danno sociale o alle risorse pubbliche

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